TERESA DI LISIEUX
La
storia dei Santi è sempre una storia d'amore e la vita di Teresa è stata una
continua manifestazione di Dio che si è rivelato a lei come Amore sublime,
misericordia e carità infinite.
Tale carità divina, nella pietà quotidiana della Santa, è concretamente rappresentata dall'Eucaristia. Basta rileggere alcune pagine del Manoscritto A per rendersi conto della fervente devozione al Cristo dell'Eucaristia e quanto questo Sacramento abbia nutrito la sua vita spirituale.
Ella
vi vede contenuti la sorgente e l'ideale della sua vita cristiana e
carmelitana: amore filiale e somma piccolezza.
La
piccola Teresa intuisce molto presto di non avere altra guida che Gesù
Eucaristia per giungere alla santità e per salire fino la cielo.
Per
questo avverte un forte desiderio di accostarsi spesso alla Santa Comunione: «Egli
discende tutti i giorni dal cielo, non per restare nel ciborio d'oro, ma per trovarne
un altro: il cielo della nostra anima. Questo cielo gli è infinitamente più
caro del primo perché è fatto a sua immagine: è il tempio vivo
dell'adorabile Trinità».
Teresa
coglie tre aspetti dell'umanità di Cristo: infanzia, Eucaristia ed infine il
volto sofferente di Gesù.
Per
quanto riguarda il primo aspetto, è da Gesù Bambino che apprende la via dell'infanzia
spirituale, come strada sicura per arrivare al Cuore di Dio.
Nella
notte di Natale del 1886, riflette sul fatto che Dio, in Cristo, si è fatto
bambino, piccolo e povero. È la luce natalizia evangelica che le chiarisce la
sua vocazione: anche lei sarebbe stata piccola, povera, fatta quasi di niente.
Dio
l'andava istruendo nella scienza nascosta agli intelligenti e ai dotti, ma che
si degna di rivelare ai piccoli. Sente questo indirizzato a lei personalmente.
Il
simbolo del piccolo le fa cogliere la dimensione della fiducia del bambino che
tende le mani senza riserve. Ed è proprio questo il motivo conduttore della
sua «piccola via». Il bambino è per Teresa l'emblema della sua esistenza
rifugiata in Dio, affidata al suo sguardo misericordioso nel presente, passato e
avvenire.
Teresa
stessa designa la sua via che porta a Dio, come «piccola via» che può essere
percorsa solo da chi si fa «bambino» (Mc 10,14-16). Questa via è un'esistenza
nascosta, senza estasi, senza penitenze particolari, senza appariscenza,
tutta occupata a mettere amore nelle attività ordinarie. Ha scoperto che il
Signore è misericordia in modo particolarissimo per le creature «povere»,
che riconoscono cioè la loro piccolezza spirituale, la loro impotenza a raggiungere
la santità con le sole proprie forze. La Santa intuisce e ripropone la verità
evangelica della gratuità assoluta dell'amore di Dio, che si comunica agli
uomini in proporzione alla povertà del loro cuore, cioè alla loro
consapevolezza che Egli non deve loro nulla e tuttavia mendica il dono
dell'amore collocato nelle umili cose quotidiane, fatte appunto per suo amore.
La «piccola via» però, non è così semplice, è anzi «dura e spinosa»
perché suppone una virtù adulta o che lo vuol diventare con l'aiuto divino.
Essa infatti, è l'imitazione che la creatura fa dell'abbassamento di Dio; è
il cammino pasquale della croce che spoglia progressivamente l'anima
introducendola nell'amore sul modello di Gesù. Bisogna saper percepire la
dolorosa abnegazione che si nasconde in questo. Teresa insegna ai discepoli
della «piccola via» una grande spoliazione, senza la quale la felicità
promessa ai poveri di spirito è pura illusione. «Povertà» e «infanzia»,
che Teresa ha riproposto al mondo ripetendo il Vangelo, sono beatitudini che
«si nutrono della linfa della Croce».
Ogni
giorno passa lunghe ore nella cappella del suo monastero: il tabernacolo è
veramente il polo della sua vita contemplativa. Gesù, «chiuso» per amore
dietro la porta dei tabernacoli, attende in cambio che un'anima fedele gli renda
visita, gli renda grazie e sia felice di vivere, ella pure, umile e nascosta.
La
piccola carmelitana ha sentito molto presto svilupparsi nel suo cuore il
desiderio di vivere «ignorata e considerata un nulla». Dopo la sua entrata al
Carmelo, la meditazione del Santo Volto sofferente di Cristo, rende ancora più
profondo il suo desiderio di essere dimenticata e umiliata.
Ella
vede nell'umiliazione, un mezzo provvidenziale per custodire nel suo cuore il
sentimento benefico del suo «piccolo niente», della sua «impotenza radicale
ad ogni bene», in una parola la tranquilla coscienza della sua povertà
spirituale.
L'Eucaristia,
è la sintesi in cui noi dobbiamo far convergere tutto ciò che siamo e
abbiamo perché diventi un inno di gloria a Dio e uno strumento di salvezza. È
proprio questo Sacramento, il cui significato letterale è «rendimento di
grazie», a dare valore e significato a tutti i momenti della nostra vita.
È
anche stato giustamente definito il «Sacramento del quotidiano». La nostra
quotidianità che spesso appare grigia, se viene rapportata con volontà e
devozione all'Eucaristia, acquista, in unione a Cristo e ai meriti del suo
Corpo e del suo Sangue, un valore immenso.
Niente
è più casuale o futile, persino l'evento più insignificante parla il
linguaggio della fede, della speranza e, soprattutto, dell'amore.
Questa
è la vita eucaristica, la vita in cui ogni cosa diventa un motivo per dire «grazie».
Spesso è piccola, nascosta, ma è come lievito, come un granello di senape,
come un sorriso. L'Eucaristia, a volte, è un «piccolo» evento di cui sanno
poche persone, avviene con gesti semplici e nascosti; ma grande o piccolo, è
lo stesso evento, il quale rivela che l'amore è più forte di tutto.
Per
tutta la vita, Teresa ha creduto nell'efficacia apostolica della più piccola
delle sue azioni. «Raccogliere uno spillo per amore - le piace ripetere - può
salvare un'anima. Che mistero!».
Sperduta
nel suo piccolo Carmelo di provincia, occupata a svolgere compiti ripetitivi
e molto banali, Teresa è persuasa che «non è il valore e neppure la santità
apparente delle azioni quello che conta, ma solo l'amore che ci si mette» (CSG
65).
Alla
fine del suo ultimo manoscritto esprime quello che ha compreso un giorno che
meditava un versetto del Cantico: «Attirami, noi corriamo all'odore dei tuoi
profumi».
È
convinta che, più si getta nel Signore, più attira nello stesso tempo a Lui
tutti quelli che le sono uniti con i legami della Comunione dei Santi.
Comprende che c'è nel campo spirituale una vera legge di attrazione
universale che permette a tutte le anime di aiutarsi a vicenda nel loro
movimento ascensionale verso Dio. E scrive: «... quando un'anima si è
lasciata avvincere dall'odore inebriante dei Vostri profumi, non sa più correre
da sola: tutte le anime che ama sono trascinate al suo seguito...» (C 34).
Così l'Eucaristia diventa Comunione, Apostolato e Missione.
Fino
alla fine della sua vita, Teresa vede i peccatori come figli da salvare e per loro
vuole offrire il suo amore inestinguibile. Il testo evangelico che Teresa cita
più volentieri per esprimere la sua fede nella fecondità apostolica delle
sue sofferenze, è l'espressione di Gesù riportata da Giovanni 12,24: «Se il
chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; ma se muore, porta
molto frutto».
A
dire il vero Teresa non ha saputo subito trasformare le proprie sofferenze in
gioie; scrive infatti: «È una grazia che mi è stata concessa solo più tardi».
Le prove non le sono mancate fino dall'infanzia, ma solo in un secondo tempo
comprende che, per soffrire «secondo il Cuore di Dio», non c'è affatto
bisogno di soffrire con coraggio, senza aver l'aria di accorgersi delle proprie
sofferenze, come eroi, o le grandi anime, ma basta accettarle così come
vengono, offrendole al Signore con tutto il cuore e credendo profondamente
che non sono inutili. Scrive infatti alla sorella Céline: «Non pensiamo di
poter amare senza soffrire, senza soffrire molto. Soffriamo con amarezza, cioè
senza coraggio!... Gesù ha sofferto con tristezza; senza tristezza, un'anima
soffrirebbe forse? E noi vorremmo soffrire generosamente, grandemente... Che
illusione!».
È
proprio in questo modo che Teresa accoglie la sua sofferenza. Il dolore la
trova senza forza, senza gioia, ma che importa! Come essa presentiva già a
sedici anni, «la santità non consiste nel dire cose belle, neppure consiste
nel pensarle, nel sentirle, essa consiste nel voler ben soffrire».
Dopo
la scoperta della «piccola via», per Teresa la «misericordia» di Dio diventa
il sole della sua vita. «Proprio dell'amore è abbassarsi» scrive Teresa,
provando così quanto pensi ad un amore di misericordia. Di Gesù l'affascina
l'amore che le ha testimoniato con i suoi «annientamenti»: la mangiatoia, la
Croce, l'Eucaristia, tappe di un abbassamento sempre più incredibile. Immersa
in questa «fornace», cioè nello Spirito Santo amore, Teresa non può che «amarlo
e farlo amare» e offrirsi a Lui quale «vittima di olocausto», per essere
tutta consumata da questo fuoco di Amore trinitario. L'Atto di offerta
costituisce uno dei testi più belli e più profondi della letteratura
teresiana; Teresa lo pronuncia il 9 giugno 1895, festa della Santa Trinità,
durante il ringraziamento dopo la santa Comunione ed è la stessa Santa a
scriverne il testo (lo riporteremo per intero alla fine).
Una
profonda illuminazione interiore ha riempito il suo cuore; si sente alla
presenza di Dio «Trinità» e somma «beatitudine»:
O
mio Dio! Trinità beata, desidero amarti e farti amare...
Due
desideri sono nati nel cuore della piccola Teresa: un desiderio personale contemplativo,
cioè amare Dio con tutta la forza della sua anima, e un desiderio apostolico,
cioè far amare da tutti questo Dio di misericordia. Con simili desideri nel
cuore, formula la sua offerta, nella quale non intende offrire, in primo luogo,
se stessa - povera creatura con tutti i suoi limiti naturali - bensì Maria, l'eletta
di Dio, e anzitutto Gesù, l'unigenito Figlio di Dio. In Lui e attraverso i
suoi meriti che ci appartengono e che la Vergine offre continuamente al Padre
delle misericordie, Teresa dà forma e sostanza ai suoi «desideri infiniti»:
amare la «Trinità beata», nel senso di esistere soltanto per amare Dio e
abbandonarsi totalmente al suo Amore misericordioso.
Mai
Teresa ha potuto sondare più a fondo l'amore di Cristo che quel mattino del 9
giugno 1895. Ella contemplava il suo Cristo che cerca i poveri e i peccatori,
divorato dall'amore per tutti. E che cosa vede? Quanta indifferenza da parte
degli uomini! L'amore di Gesù è misconosciuto da ogni parte, «rigettato», «disprezzato».
Mendicando felicità, gli esseri umani «si volgono verso le creature,
quando (invece?) esiste un amore infinito che sente il bisogno di prodigarsi e
di lasciar traboccare un torrente di grazia».
Teresa
sente un dolore cocente di fronte alla solitudine di Gesù il quale sarebbe felice
di trovare un cuore che si dona senza riserve.
Allora,
si consegna interamente come «offerta», come «vittima», secondo le sue
espressioni.
Ma
non si offre alla «giustizia» di Dio; come avrebbe potuto prendere un carico
simile sulle sue fragili spalle? Si tratta di comprendere quanto Gesù
desidera essere amato, non temuto. È la sua misericordia smisurata, non la sua
giustizia esatta e severa a farsi valere.
Non
vuole «attirare su di lei» i castighi, ma lasciarsi attirare dalla tenerezza
divina e lasciarsi «infiammare» col suo fuoco d'amore. -
L'offerta
all'amore misericordioso si situa, storicamente e per sua natura, nelle
prospettive aperte dalla sua «piccola via». L'offerta ne è la conseguenza
logica, l'espressione orante e la consacrazione definitiva. Teresa si
presenta dunque all'amore misericordioso; il suo scopo è sollevare il Cuore di
Dio e fare della sua vita una lode alla sua misericordia che vuol essere il cardine
della nostra santificazione. Così sarà l'Amore misericordioso a realizzare in
lei il suo sogno d'amore. Teresa accetta l'amore e riceve dall'amore la sua «giustizia»
e il suo «cielo».
E
definisce questa presa di posizione di fronte alla misericordia come una «offerta».
A partire da questo momento l'offerta diviene un vero dono di sé, un impegno
totale; ma questa generosità non sarà più, come prima, il prezzo con cui
assicurarsi la santità, ma l'espressione vivente della sua apertura alla vita
di Gesù in lei.
Che
cosa cambia esteriormente nella generosità di Teresa dopo la scoperta della
«piccola via» o dopo la sua «offerta all'amore misericordioso»? Niente e
tutto! Niente perché continua come sempre ad «approfittare delle più
piccole cose», a seminare i suoi «niente» d'amore; e tutto, perché lo fa
unicamente come segno della sua attenzione verso il Dio d'amore, come
espressione della sua apertura incessante' alla sua grazia, a «quell'immensità
d'amore che ti è piaciuto prodigarmi gratuitamente senza alcun merito da parte
mia» (C 35r).
Supplica
quindi, con ardore, di essere «consumata» e «trasformata» dal fuoco dell'amore
misericordioso. Se aveva detto: «Amare è donare tutto e donare se stesso»
(P 54), dopo la festa della Trinità del 1895 ha capito più che mai che il dono
di sé è prima di tutto il frutto di un'azione divina gratuita e colmante.
Quando
diventiamo questo amore divino e ci offriamo gli uni agli altri, diventiamo
Eucaristia vivente.
Questo
è un cammino difficile da percorrere. La strada più semplice per avere la
forza di accogliere Gesù nella sua pienezza è la Consacrazione al Cuore di
Maria: tutto avviene nel suo Cuore e attraverso il suo Cuore.
Teresa
si offre come vittima d'amore. Interamente disponibile come Maria e seguendo
il suo esempio (Teresa abbandona la sua offerta a Maria, pregandola di presentarla
a suo Figlio), si dona per essere inondata dai «torrenti di tenerezza infinita».
In questo modo realizzerà il sogno di santità che è: «compiere perfettamente
la tua volontà». E tutto ciò «in un atto». Uno solo e continuo! Dalla
mattina alla sera e dalla sera alla mattina e durante la notte. «Vivere
d'amore»! Dormo, ma il mio cuore veglia! Perché Teresa dà al suo cuore la
missione di «rinnovare l'offerta ad ogni battito». Il suo cuore è il suo
delegato. Sarà il suo «martirio d'amore».
Maria
è prima di tutto una presenza che dà a tutta la sua vita una colorazione ed
una sicurezza particolari.
Per
la piccola carmelitana, la vera devozione mariana, lungi dal bloccare lo
slancio verso il Padre, spinge anzi all'abbandono totale nelle sue mani.
Sa
che la Vergine non ha solo il compito di temperare la severità del Padre, ma
piuttosto quello di rivelare la sua tenerezza.
Il
suo «sorriso incantevole», del quale ha goduto la vista il 13 maggio 1883 e
che l'ha prodigiosamente guarita da una grave malattia, è per lei un'eco,
un'icona straordinariamente viva dello stesso sorriso che Dio posa su ciascuno
di noi.
Teresa
riceve all'inizio della sua vita religiosa una grazia mistica eccezionale:
quella di sperimentare in modo intenso la presenza di Maria: per tutta una
settimana ha avuto la sensazione di vivere sotto il velo della Vergine. È il
luglio 1889; cominciata la sua preghiera, ecco che un raccoglimento come non
ha mai avuto, si impadronisce di lei e: «C'era come un velo gettato per me su
tutte le cose della terra... Mi sentivo interamente coperta sotto il velo della
Santa Vergine».
Teresa
ha compreso particolarmente in quella settimana fino a che punto Maria era
presente in tutta la sua vita; sotto quel velo si sarebbe realizzata una unione
più intima tra lei e Gesù.
La
devozione mariana di Teresa si avvicina a quella di Luigi Maria Grignion de
Montfort per almeno due aspetti:
-
Maria non è soltanto la nostra Mamma affettivamente parlando, ma lo è
realmente generandoci, con lo Spirito Santo, alla vita divina. Questa funzione
può meglio esercitarla se i suoi figli si affidano coscientemente e
volentieri alle sue mani materne, unico terreno fertile nel quale noi abbiamo
ogni vantaggio a rimettere il piccolo grano di senapa della nostra fede perché
cresca e divenga un grande albero;
-
un altro aspetto riguarda il sentimento con cui la Santa si avvicina alla
Comunione; così come faceva il Montfort: quando Teresa si comunica, invita la
Vergine a venire nella sua anima, per sgomberarla da tutto ed accogliervi Ella
stessa il Signore: «Datemi il vostro Cuore o Maria, affinché possa ricevere
Gesù con un cuore senza macchia».
Dalla
quaresima del 1897 suor Teresa è gravemente ammalata. La solitudine le lascia
il tempo di comporre ciò che le sta più a cuore: una lunga poesia sulla
Madonna che sente «più Madre che Regina» e una breve e straziante poesia, una
specie di suo testamento: «La rosa sfogliata».
Intuisce
che le resta un ultimo atto supremo d'assolvere: «Io devo morire». Morire
dissolvendosi, appassendo, giorno dopo giorno, come una rosa che si sfoglia:
suor Teresa si dona «per non essere più». Che la sua vita così «spesa»,
sia soltanto dolcezza sotto i «passi infantili» di Gesù Bambino e sotto
gli «ultimi passi» dell'Uomo dei Dolori.
Teresa
offre il suo «nulla» buttandosi sotto i passi di Gesù, in un atto di puro e
totale amore.
Gesù,
quando ti vedo sorretto da tua Madre
Lasciar
l'appoggio ,
E
trepito tentare su questa arida terra i primi passi
Davanti
a te vorrei una rosa sfogliare
Tutta
freschezza
Perché
il tuo piccolo piede soavemente posi
Sopra
ad un fiore!...
Questa
rosa sfogliata, è immagine fedele Divino Infante
Del
cuor che per te vuole tutto immolarsi intero
Ad
ogni istante.
Signore,
sui tuoi altari più d'una fresca rosa
Ama
brillare
A
te essa si dona... Ma d'altra cosa io sogno:
«È
di sfogliarmi!...»
La
rosa nel suo splendore ti può abbellir la festa
Bambino
Amato,
Ma
la rosa sfogliata, si disperde senza cura al cappriccio del vento.
Una
rosa sfogliata si dà senza pretese
Per
più non essere.
Com'essa
allegramente a te io m'abbandono
Gesù
Piccino.
Con
incuria si passa sui petali di rosa
E
ciò che resta
Son
semplici ornamenti disposti là senz'arte
Io
l'ho compreso.
Gesù,
per amore tuo la vita ho perso
E
l'avvenire
Agli
occhi dei mortali come appassita
Devo
morire!...
Per
te, devo morire, Bambino, Beltà Suprema,
Sorte
felice!
Voglio,
sfogliandomi, provarti che io t'amo
O
mio Tesoro!...
Sotto
agl'infantili passi tuoi segretamente
Qui
viver voglio
Ed
addolcir ancor vorrei sopra al Calvario Gli estremi passi tuoi!...
O
Dio! Trinità beata, desidero amarti e farti amare, lavorare per la
glorificazione della Santa Chiesa salvando le anime che sono sulla terra e
liberando quelle che soffrono in Purgatorio.
Desidero
adempiere perfettamente la tua volontà e arrivare al grado di gloria che mi hai
preparato nel tuo regno, in una parola, desidero essere Santa, ma sento la mia
impotenza e ti chiedo, o Dio, di essere tu stesso la mia Santità.
Poiché
mi hai amato fino a darmi il tuo unico Figlio perché fosse il mio Salvatore e
mio Sposo, i tesori infiniti dei suoi meriti sono miei, te li offro con letizia,
supplicandoti di non guardarmi che attraverso il Volto di Gesù e nel suo
Cuore ardente d'Amore.
Ti
offro anche tutti i meriti dei Santi (che sono in cielo e sulla terra), i loro
atti d'amore e quelli dei Santi Angeli. Infine ti offro, o Beata Trinità,
l'Amore e i meriti della Santa Vergine, mia Madre, proprio a Lei consegno la
mia offerta, pregandola di presentartela. Il suo Divin Figlio, mio Sposo
Amato, nei giorni della sua vita mortale, ci disse: «Tutto ciò che domanderete
a mio Padre, in nome mio, Egli ve lo darà!». Sono dunque certa che esaudirai i
miei desideri. Lo so, o Dio, più vuoi donare, più fai desiderare. Sento nel
mio cuore desideri immensi ed è con fiducia che ti domando di venire a
prendere possesso della mia anima. Ah! Non posso ricevere la Santa Comunione
così spesso come desidero, ma, Signore, tu non sei l'Onnipotente?... Rimani
in me, come nel tabernacolo, non allontanarti mai dalla tua piccola ostia...
Vorrei
consolarti per l'ingratitudine dei cattivi e supplicarti di togliermi la libertà
di dispiacerti; se per debolezza qualche volta cado, all'istante il tuo Sguardo
divino purifichi la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni, come il
fuoco che trasforma tutto in se stesso...
Ti
ringrazio, mio Dio, per tutte le grazie che mi hai accordato, in particolare per
avermi fatta passare per il crogiolo della sofferenza. È con gioia che ti
contemplerò all'ultimo giorno con in mano lo scettro della Croce. Poiché ti
sei degnato di farmi partecipe di questa Croce così preziosa, spero in Cielo
di rassomigliarti e di vedere brillare sul mio corpo glorificato le sacre
stigmate della tua Passione...
Dopo
l'esilio della terra, spero di venire a gioire di te nella Patria, ma non voglio
ammassare meriti per il Cielo, voglio solo lavorare per tuo amore, con
l'unico intento di piacerti, di consolare il tuo Sacro Cuore e di salvare delle
anime che ti ameranno eternamente.
Alla
sera di questa vita, mi presenterò davanti a te con le mani vuote, non ti
chiedo infatti, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie sono
imperfette ai tuoi occhi. Voglio quindi rivestirmi della tua stessa Giustizia e
ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso. Non voglio altro Trono e
altra Corona che te, o Amato!...
Ai
tuoi occhi il tempo è nulla, un solo giorno è come mille anni, tu puoi quindi,
in un istante, prepararmi a comparire dinanzi a te...
Per
vivere in un atto di perfetto Amore io mi offro vittima d'olocausto al tuo Amore
misericordioso, supplicandoti di consumarmi senza sosta, lasciando traboccare
nella. mia anima i flutti di tenerezza infinita racchiusi in te e così io
divenga Martire del tuo Amore, o Dio!...
Questo
martirio, dopo avermi preparata a comparire dinanzi a te, mi faccia infine
morire e la mia anima si slanci, senza ritardi, nell'eterno abbraccio
dell'Amore misericordioso...
Io
voglio, o Amato, ad ogni battito del cuore rinnovarti quest'offerta un numero
infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, io possa dirti di nuovo il
mio amore in un Faccia a Faccia eterno!...
(Guardando
il suo Crocifisso S. Teresina morì dicendo: «Oh! Io l'amo!... Dio... ti
amo!...).