La
conversione di Alfonso Ratisbonne
L'apparizione della Madonna del Miracolo nella Chiesa di Sant'Andrea
delle Fratte a Roma (20 gennaio 1842)
Alfonso Ratisbonne appartiene a una delle più ricche e influenti
famiglie della numerosa comunità ebraica di Strasburgo. Il figlio
maggiore, Théodore, convertitosi al Cristianesimo, era stato
ordinato sacerdote nel 1830, l'anno stesso delle apparizioni a Santa
Caterina Labourè. Don Thèodore diventerà uno dei principali
collaboratori del parroco di Nostra Signora delle Vittorie e, come
tale, propagandista entusiasta e instancabile della devozione
all'Immacolata della "Medaglia miracolosa", cui raccomanderà ogni
giorno il fratello Alphonse. In effetti, il giovane Alphonse, fedele
all'Ebraismo più come riti e tradizioni che come pratica, sente
doveroso battersi per l'assistenza e il riscatto dei fratelli nella
fede d'Israele. La sua ostilità verso il Cristianesimo in generale,
e il Cattolicesimo in particolare, non solo non è nascosta, ma è
pubblicamente manifestata. Innamorato di una cugina, Flore, ha
fissato con lei la data di un matrimonio vantaggioso anche sul piano
sociale, ma voluto dai due soprattutto per amore. Prima di sposarsi,
decide di fare un viaggio che lo porti sino a Gerusalemme, per
vedere la terra dei suoi padri. Con una imprevista variazione, però,
al suo programma, sceglie di visitare anche Roma. Arrivato nel
giorno dell'Epifania del 1842, una delle sue prime visite è al
Ghetto, dove vivono gli oltre quattromila ebrei romani. "Ho capito",
scriverà ai familiari a Strasburgo, "quanto sia meglio far parte dei
perseguitati piuttosto che dei persecutori".
A Roma, il Ratisbonne seppure di malavoglia viene in contatto con il
gruppo dei ferventi cattolici francesi (molti dei quali convertiti)
dei quali fa parte il barone Thèodore de Bussières, venuto dal
Protestantesimo e amico del fratello sacerdote. Il de Bussières non
solo impegna gli amici perché preghino per quel giovane ebreo, ma
quasi come per una sfida lo convince a portare su di sé la "Medaglia
miracolosa". Di più: ottiene da lui la promessa (poi mantenuta) di
ricopiare il testo della famosa preghiera di san Bernardo che inizia
con il Memorare, quel "Ricordati, Vergine Maria, che non si è mai
sentito al mondo che qualcuno abbia invocato il tuo soccorso e sia
stato abbandonato…". Malgrado abbia già prenotato la partenza in
diligenza per Napoli (per proseguire poi da qui, in bastimento,
verso Instambul e da lì in Palestina) Alphonse, spinto da una forza
misteriosa, decide di restare ancora qualche giorno a Roma. Nella
tarda mattinata del 1842 accompagna il barone de Bussières nella
chiesa di Sant'Andrea delle Fratte, dicendo che resterà sulla
carrozza mentre quel suo conoscente (più che amico) deve intendersi
con i frati per l'organizzazione di un funerale. Malgrado
l'intenzione di trattenersi su quel veicolo nobiliare, restato solo
con il cocchiere, la curiosità di vedere l'interno della chiesa lo
spinge ad entrare. E qui del tutto inaspettato, giungerà il "colpo
di fulmine" che sconvolgerà radicalmente la sua vita, cambiandola
per sempre. Diamo a lui la parola, traducendo il testo che Renè
Laurentin (dedicatosi per anni anche alla ricostruzione critica di
questo caso) ha ricostruito sulle fonti più sicure. "All'improvviso,
mi sentii preso da uno strano turbamento e vidi come scendere un
velo davanti a me. La chiesa mi sembrò tutta oscura, eccettuata una
cappella, come se la luce si fosse concentrata tutta là. Non posso
rendermi conto di come mi sia trovato in ginocchio davanti alla
balaustra di quella cappella: in effetti, ero dall'altra parte della
chiesa e tra me e la cappella c'erano, a sbarrare il passo, gli
arredi che erano stati montati per un funerale. Levai comunque gli
occhi verso la luce che tanto risplendeva e vidi, in piedi
sull'altare, viva, grande, maestosa, bellissima e dall'aria
misericordiosa, la santa vergine Maria, simile nell'atto e nella
struttura all'immagine della Medaglia che mi era stata donata perché
la portassi. Cercai più volte di alzare gli occhi verso di lei, ma
il suo splendore e il rispetto me li fecero abbassare, senza
impedirmi però di sentire l'evidenza dell'apparizione. Fissai lo
sguardo, allora, sulle sue mani e vidi in esse l'espressione del
perdono e della misericordia. Con quelle stesse mani, mi fece segno
di restare inginocchiato. Ma una forza irresistibile mi spingeva
verso di lei. Alla sua presenza, benché ella non abbia detto alcuna
parola, compresi di colpo l'orrore dello stato in cui mi trovavo, la
deformità del peccato, la bellezza della religione cattolica: in una
parola, compresi tutto, di colpo".
La sconvolgente testimonianza di Ratisbonne termina con una frase
che, per tutta la vita, amò ripetere: "Elle ne m'a rien dit, mais j'ai
tout compris" ("Lei non mi ha detto nulla, ma ho capito tutto").
Come divorato nel desiderio di ricevere il battesimo (la cui
importanza era stata rivelata), undici giorni dopo è ammesso al
sacramento, assumendo il semplice nome di "Maria", che non
abbandonerà neppure entrando nell'Ordine dei Gesuiti. Ordinato
sacerdote nel 1848, resterà nella Compagnia con soddisfazione sua e
dei superiori per alcuni anni: l'abbandonerà, in pieno accordo anche
con il Papa, per unirsi al fratello Thèdore (prete già dal 1830,
come sappiamo) che aveva fondato una congregazione quella di Notre
Dame de Sion, ancora esistente per la conversione degli ebrei al
Vangelo. Morirà in Terra Santa, ad Ain Karin, il luogo tradizionale
della Visitazione di Maria a Elisabetta. Curiosa l'annotazione che
ho trovato nel Diario di Paul Claudel, alla data del 14 marzo 1950:
"La Provvidenza riservava a un giudeo convertito, padre Alphonse
Ratisbonne, l'onore di ritrovare, sotto l'ammasso di rifiuti da lui
acquistati a Gerusalemme, il lastricato autentico del Litostroto, il
luogo dell'Ecce Homo". In effetti, è proprio così: il luogo comprato
a Gerusalemme dai due fratelli Ratisbonne, nel 1856, si rivelerà uno
dei più illustri della storia evangelica, addirittura il posto dove
Pilato aveva stabilito il suo tribunale la fatale mattina di quel
venerdì che precedeva la Pasqua. In Terra Santa, comunque, il lavoro
dei due fratelli convertiti sarà massacrante e sarà posto
soprattutto a favore degli orfani e, in genere, dei giovani
(musulmani, ebrei, cristiani) privi di mezzi di sussistenza. Sulla
conversione di Alphonse più ancora che su quella di Thèodore si
accanirà l'opposizione violenta da parte dei membri della sua
numerosa famiglia e dei correligionari sparsi in mezza Europa.
Questa conversione, seguita all'esperienza del 20 gennaio 1842 a
Sant'Andrea delle Fratte, fu sottoposta a processo davanti al
tribunale canonico del Vicario di Roma. Sfilarono molti testi
giurati, e dopo mesi di lavoro, il cardinale Costantino Patrizi
firmava un decreto (porta la data del 3 giugno 1842) che così si
conclude: "Consta pienamente la verità dell'insigne miracolo operato
da Dio onnipotente per intercessione della Beata Vergine Maria, cioè
la istantanea e perfetta conversione di Alfonso Ratisbonne
dall'Ebraismo".
Alle diffamazioni che accompagnarono la vita di "padre Maria", come
volle sempre essere chiamato, si sono poi unite le divagazioni
psicologiche o psicanalitiche, per ridurre a fenomeno patologico la
visione che determinò la conversione. Non è qui il caso di entrare
in discussioni di questo tipo. Basti però ricordare quale sia stata
la forza dell'evento di quel 20 gennaio 1842: per 42 anni, sino alla
morte (sopravvenuta nel mese "mariano" di maggio, del 1884),
Alphonse Ratisbonne mai mise in dubbio la verità di quanto gli era
successo e fu fedele alla sua assistenza di sacrificio, come
religioso impegnato al contempo nella preghiera e nell'azione. Poco
prima della morte uscì in espressioni come questa: "Perché mi
tormentate con le vostre cure? La Santissima Vergine mi chiama e io
ho bisogno di lei. Desidero solo Maria! Per me è tutto".
All'avvicinarsi della fine, pur ribadendo di sentirsi peccatore,
confidò ai suoi che lo assistevano di non temere la morte ma di
desiderarla, per vedere finalmente faccia a faccia la Signora che
gli era apparsa splendente di luce, per pochissimi minuti, in quel
lontano inverno romano. Una "illusione" una "manifestazione
patologica"; i cui effetti vanno così in profondità e durano tanto?
Tutti quei decenni di fedeltà al lampo nella cappella di Sant'Andrea
sono la migliore smentita.
Vittorio Messori Tratto da "Jesus", XXI (1999), n. 1
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